L’8 dicembre 1943 a Forno Canavese si svolse una delle prime battaglie più significative della Resistenza piemontese seguita dal primo tragico eccidio tedesco in provincia di Torino con la fucilazione di 18 combattenti tra patrioti italiani ed ex prigionieri di guerra Serbo-jugoslavi.
Il Centro Catti e il Comune di Forno Canavese, in collaborazione con l’Ass. Naz. Partigiani locale e l’Ass. Naz. Partigiani Cristiani hanno inteso realizzare una mostra itinerante di particolare significato storiografico per far conoscere e commemorare i fatti e per promuovere momenti di riflessione in preparazione dell’80° anniversario dell’inizio della epopea resistenziale, con la quale si sono forgiate nelle coscienze di tutti la democrazia e la Costituzione repubblicana, che il 27 dicembre 2022 compie 75 anni dalla sua firma.
La mostra itinerante, a Forno dall’8 al 20 settembre, sarà esposta successivamente anche in altri comuni e scuole del Canavese, come Rivara, Favria, Cuorgnè e Corio.
25 aprile 2022 – Il ricordo
“Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra, ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero”.
Sono le estreme, nobili parole del capitano Franco Balbis, eroe di guerra, profondamente credente, fucilato in quanto membro attivo della Resistenza al Martinetto di Torino nel 1944. Una delle purtroppo numerose vittime degli esiti di una guerra fratricidia che vide affrontarsi italiani contro italiani, con la prepotente incombenza della Germania nazista. Il 25 aprile si ricorda l’inizio dell’ultimo atto di questa guerra, che portò pur con fatica a compimento quelle che erano le speranze di Balbis. Una guerra iniziata tanto tempo prima, precedente ancora alla storica data dell’8 settembre 1943. Nella quale combatterono le loro battaglie persone di ogni livello sociale, età e condizione. Alcune assurte alla gloria per il loro sacrificio, altre che hanno offerto la loro vita e la loro opera imbracciando le armi ma di cui non si conserva il ricordo. E tante che hanno lavorato nell’ombra, senza gesti eclatanti, ma tessendo una fitta e concreta rete di resistenza alle imposizioni di un regime per affermare la libertà della propria coscienza, del proprio prossimo e della propria Patria. Persone mosse da differenti motivazioni, religiose, politiche o semplicemente umanitarie che si sono spese a proprio rischio e pericolo in piccoli e grandi gesti: nell’accoglienza di persone rifiutate per la loro fede e i loro principi; portando soccorsi e messaggi; falsificando documenti; diffondendo idee. Insomma hanno creduto nel loro dovere di uomini, liberi e obbedienti alla loro coscienza come anche spesso alla loro fede. Oggi quella generazione è ormai scomparsa, ma ci ha lasciato un messaggio che non possiamo ignorare, fatto di umanità e non ideologico, che nella tragica situazione in cui viviamo può essere un punto di riferimento a cui ispirare la nostra azione. A tutte quelle persone, note ma soprattutto dimenticate è dedicato il ricordo del nostro 25 aprile.
Gian Maria Zaccone, Presidente comitato scientifico Centro Studi Giorgio Catti
In ricordo di Maria Romana De Gasperi Catti
In ricordo di Maria Romana De Gasperi Catti (1923-2022)
Quando nell’ottobre 1947 Maria Romana De Gasperi sposò a Roma Piero Catti, fratello di Giorgio, partigiano ucciso a Cumiana alla fine del 1944, aveva già conosciuto altri giovani torinesi, amici del marito che con lui avevano condiviso scelte e ideali. A Torino, da fidanzata, aveva soggiornato nella casa dei futuri suoceri, non disdegnando le gite in collina o in montagna, trascinata dalla passione alpina di Piero. Con due di loro, in realtà, come ricorda la stessa Maria Romana, il primo incontro era avvenuto a Roma, in modo un po’ goliardico, ma consono ai personaggi in questione. All’indomani della fine della guerra, Silvio Geuna e Gino Baracco, come per “distribuire la gioia e l’ebbrezza della libertà”, scesa di corsa la scalinata di Piazza di Spagna, acquistarono mazzi di mimose e “incominciarono a fare Via dei Condotti regalando mimosa alle donne che incontravano”. Tra queste, Maria Romana.
Gli amici torinesi, tra i quali rientrava anche Ennio Pistoi, rimasero per sempre “gli amici partigiani” di Maria Romana. La stessa Maria Romana, per altro, aveva vissuto l’esperienza partigiana come staffetta per il padre Alcide, recapitando, nascosti nel cestino della bicicletta sotto verdure varie, articoli, carte o missive che il padre faceva pervenire a diversi destinatari. La consolidata amicizia portava infine due amici torinesi (Geuna e Pistoi) a trovarsi a fianco di Maria Romana e Piero quali rispettivi testimoni di nozze.
Quando, a metà degli anni sessanta, questi e altri personaggi diedero vita a Torino al Centro Studi Giorgio Catti, Maria Romana ne seguì e ne apprezzò iniziative e sviluppi, portando anche in più occasioni la sua testimonianza, contribuendo soprattutto a raccogliere e valorizzare l’eredità paterna, contraddistinta dalla sincera passione per la giustizia e la libertà e fondata sulla fedeltà ai principi di una coscienza cristianamente ispirata.
Impegno mantenuto fino ad anni recenti, di cui vogliamo ricordare alcuni momenti significativi.
Nel novembre 2015, riprendendo l’attività dopo la progressiva scomparsa dei fondatori, il Centro Catti, in collaborazione con il museo “Le Carceri Nuove”, organizzava a Torino il convegno “Una Resistenza da riscoprire” nel quale interveniva anche Maria Romana, che rievocava l’esperienza sua e di altri giovani impegnati in varie forme nella resistenza della capitale sia attraverso la diffusione di fogli clandestini sia offrendo rifugio e protezione a militari angloamericani. Nell’occasione il Centro Studi le conferiva la Presidenza onoraria. Maria Romana la accoglieva “con viva commozione” e, come scriveva in una lettera fatta seguire al convegno, salutava con particolare favore la ripresa delle attività del Centro Studi “che permetterà di mantenere vivo il ricordo e la memoria di quei cattolici che durante la persecuzione fascista hanno saputo sacrificarsi nell’attesa di un ritorno del nostro paese alla democrazia”.
Infine la sua ultima manifestazione di vicinanza e condivisione. Tra le prossime iniziative del Centro Catti figura la riedizione del libro di Geuna, Le rosse torri di Ivrea. Informata del progetto, Maria Romana ci offriva la sua Prefazione, dove, ripensando ai vecchi amici partigiani torinesi, riviveva il senso della loro esperienza, dalla giovinezza avvelenata dalla guerra alla gioiosa ebbrezza della ritrovata libertà: “Il loro sorriso era la vittoria sulla paura, il coraggio dell’offerta personale per la pace di tutti e la volontà di una vita nuova che allora distribuiva speranze di un mondo migliore”.
Il Centro Studi Giorgio Catti
Docufilm Beato Girotti a Boves
Domenica 20 febbraio alle 15,30 all’auditorium Borelli di Boves si terrà un pomeriggio dedicato alla memoria di padre Giuseppe Girotti, il sacerdote beatificato nel 2014 che si distinse, per bontà e impegno dimostrato negli anni più cupi della prima metà del ‘900, verso le persone perseguitate dalla furia nazista.
Un appuntamento organizzato in collaborazione con il Centro Studi Giorgio Catti, nato per volontà di alcuni cattolici che parteciparono attivamente alla resistenza partigiana.
La neo presidente del Centro Studio Giorgio Catti, Chiara Genisio (anche autrice del volume dedicato ai due preti martiri di Boves), Marco Castagneri e padre Massimo Rossi, Superiore dei Domenicani di Torino (voce narrante nel film), presenteranno il documentario su padre Girotti, “Il triangolo rosso”, affinché tutti possano conoscere vita e opere di questo straordinario personaggio che tanto fece per il prossimo.
Dopo la proiezione del documentario gli spettatori potranno recarsi alla chiesa parrocchiale di San Bartolomeo con don Bruno Mondino, dove è custodita, fino a fine febbraio, la copia della statua della Madonna di Dachau, realizzata dall’artigiano bovesano Aldo Pellegrino, che sarà presente all’evento.
Spiega Marco Castagneri: “Il triangolo rosso” è un documentario prodotto dai Frati Domenicani di Torino (realizzato dalla NOVA-T di Torino, per la regia di Sante Altizio, aiuto-regia Andrea Tomasetto).
Il titolo si riferisce al triangolo di stoffa rossa cucito sulla casacca dei ‘politici’ deportati, tra cui i sacerdoti che aiutavano gli ebrei o i partigiani.
Continua Castagneri: “Questo toccante documentario racconta la storia di padre Giuseppe Girotti che, a Torino, si prodigò nell’aiutare gli ebrei a sfuggire alle leggi razziali nazi-fasciste e alla deportazione. Fu catturato con un sordido inganno che faceva leva sulla sua immensa carità dalla polizia repubblichina e deportato. Trovò la morte a Dachau, sfinito e probabilmente ucciso, a quarant’anni, tre giorni prima della caduta del Reich”.
Dal film emergono gli aspetti biografici del personaggio e la sua azione clandestina di aiuto agli ebrei. Colpiscono i dettagli sulla sua cattura, la sua fermezza nell’aiutare gli altri nonostante le sofferenze subite nel campo di concentramento e resta indelebile nella memoria la sua morte. Un eroe d’altri tempi, un uomo di grande intelligenza e cultura che mai si piegò al regime nazifascista.
“Faccio tutto per carità” usava dire ai superiori. E come religioso cattolico, allineandosi alle indicazioni che giungevano chiare dalla Santa Sede, cercò in particolare dopo l’8 settembre di mettere in salvo gli ebrei sempre più ferocemente perseguitati. Non conosciamo tutta la sua opera, per la segretezza con cui la compiva, ma alcuni casi sono emersi. E anche la sua cattura fu legata al noto gastroenterologo ebreo Giuseppe Diena che aveva contribuito a nascondere, e che, arrestato insieme a lui, fu ucciso nel campo di Flossenbürg.
Numerose le attestazioni di riconoscenza da parte del mondo ebraico, fino alla designazione di Giusto fra le Nazioni da parte del Governo di Israele. La Chiesa lo ha beatificato nel 2014.
Don Angelo Dalmasso, prigioniero nel campo di concentramento con Padre Girotti, diede questa testimonianza: “Un giovane prigioniero, anziano del campo, venne a cercare Padre Girotti, era il Padre Leo Roht, priore dei Domenicani di Colonia, da vari anni internato a Dachau. Portò un pezzo di formaggi al Padre Girotti che si consumava come tutti per la fame. Padre Girotti se ne privò, lo diede a me dicendo: tu sei più giovane e ne hai più bisogno. Lui aveva 39 anni, io ne avevo 24. Sento ancora adesso il rimorso per quella porzione di formaggio, ma era la sopravvivenza”.
Ingresso libero consentito esclusivamente con super green pass e mascherina FFp2.
Beato Giuseppe Girotti O.P. – Un domenicano a Dachau – Giusto tra le Nazioni
IL TRIANGOLO ROSSO – Beato Giuseppe Girotti O.P. – Un domenicano a Dachau – Giusto tra le Nazioni
Una vita nella carità fino al martirio – Alba -1905 – Dachau 1945
Testimonianza di Don Angelo Dalmasso. Nella baracca della quarantena. Un giovane prigioniero, anziano del campo, venne a cercare Padre Girotti, era il Padre Leo Roht, priore dei Domenicani di Colonia, da vari anni internato a Dachau. Portò un pezzo di formaggi al Padre Girotti che si consumava come tutti per la fame. Padre Girotti se ne privò, lo diede a me dicendo: tu sei più giovane e ne hai più bisogno. Lui aveva 39 anni, io ne avevo 24. Sento ancora adesso il rimorso per quella porzione di formaggio, ma era la sopravvivenza.
MORIRE PER I “FRATELLI MAGGIORI”
In occasione della Giornata della Memoria 2022, il Centro Studi Giorgio Catti, nato per volontà di alcuni cattolici che parteciparono attivamente alla resistenza partigiana per valorizzare e testimoniare la partecipazione dei cattolici nell’esperienza resistenziale – pubblica sul suo sito (www.centrostudicatti.it) “ll triangolo rosso”, un documentario prodotto dai Frati Domenicani italiani (realizzato dalla NOVA-T di Torino, per la regia di Sante Altizio, aiuto-regia Andrea Tomasetto).
Il titolo si riferisce al triangolo di stoffa rossa cucito sulla casacca dei politici, tra cui i sacerdoti, deportati. Racconta la storia di padre Giuseppe Girotti che, a Torino, si prodigò nell’aiutare gli ebrei a sfuggire alle leggi razziali nazi-fasciste e alla deportazione. Fu catturato con un sordido inganno che faceva leva sulla sua immensa carità dalla polizia repubblichina e deportato.
Trovò la morte a Dachau, sfinito e probabilmente ucciso, a quarant’anni, tre giorni prima della caduta del Reich. I documenti nazisti motivano l’arresto e la deportazione per “aiuto agli ebrei”.
Il documentario ricostruisce la sua interessante vicenda, evidenziando il suo profilo biografico, e soffermandosi in modo particolare sulla sua azione clandestina di aiuto agli ebrei, sulla sua cattura, e infine sulla sua morte nei campi di concentramento.
A emergere, è un uomo di grande intelligenza e cultura, che incontrando il regime nazifascista, non può esimersi dal dare la risposta che gli ha insegnato il Cristianesimo: ogni uomo è sacro e va aiutato. “Faccio tutto per carità” usava dire ai superiori. E come religioso cattolico, allineandosi alle indicazioni che giungevano chiare dalla Santa Sede, cercò in particolare dopo l’8 settembre di mettere in salvo gli ebrei sempre più ferocemente perseguitati.
Non conosciamo tutta la sua opera, per la segretezza con cui la compiva, ma alcuni casi sono emersi. E anche la sua cattura fu legata al noto gastroenterologo ebreo Giuseppe Diena che aveva contribuito a nascondere, e che, arrestato insieme a lui, fu ucciso nel campo di Flossenbürg.
Nel documentario si alternano la voce narrante, che ricostruisce ipoteticamente i pensieri di Girotti nei suoi ultimi giorni, e le voci di persone che ne hanno conosciuto e studiato la figura. Numerose le attestazioni di riconoscenza da parte del mondo ebraico, fino alla designazione di Giusto fra le Nazioni da parte del Governo di Israele. La Chiesa lo ha beatificato nel 2014.